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“Educare è trasmettere le meraviglie di Dio, mettere insieme la fede con la vita”

 

Fin da subito è emerso con chiarezza quello che era il motivo che ci ha radunato da ogni parte d’Italia: la passione di educare insieme. Questo infatti era il tema del convegno nazionale educatori ACR e giovanissimi che si è tenuto a Roma dal 14 al 16 Dicembre 2012.

Nella celebrazione di apertura l’assistente generale mons. Domenico Segalini ci ha provocato con una domanda: «Doniamo la fede che abbiamo o abbiamo la fede che doniamo?»

Il primo intervento è stato quello della biblista Rosanna Virgili che partendo da un brano del profeta Osea (Os 11, 1-4) in cui si narra della amorevole cura di Dio nei confronti di Israele, ha analizzato le modalità con cui Egli “educa” il suo popolo: «La peculiarità dell’educatore è quella di essere una persona “dal futuro”: come quando ci si allontana dai bambini per farli camminare da soli, così Dio – modello di educatore – educa perché è altro da noi, è “un po’ più avanti”; quindi l’educatore deve sempre avere una certa distanza, ma allo stesso tempo ci vuole una relazione, un contatto anche fisico. Educare vuol dire coinvolgere la vita».

«Il grande compito di noi educatori è che siamo chiamati ad evangelizzare per raccontare ai più piccoli le meraviglie di Dio». Con queste parole il presidente Franco Miano ha aperto il suo intervento ricordandoci come «la passione di educare deriva dalla passione per gli altri e per questo è qualcosa di totalizzante, non può essere saltuario».

Tu chiamale, se vuoi…emozioni!

La giornata di Sabato si è aperta con la Celebrazione Eucaristica presieduta da Don Dino Pirri (assistente centrale Acr) che nell’omelia ci ha esortato ad «essere profeti oggi. Cioè uomini e donne capaci di far vedere, anziché promettere Il Regno di Dio; di testimoniare, anziché spiegare l’efficacia della sua Parola; capaci di conversione, anziché petulanti nella lamentela».

La tavola rotonda della mattinata dal titolo “Tu chiamale se vuoi…emozioni!” ha visto gli interventi, nell’ordine, della catecheta e psicoterapeuta Franca Feliziani Kannheiser, del teologo don Cesare Pagazzi e di padre Carlo Chiappini, maestro dei Novizi della Compagnia di Gesù.

Nella sua relazione la dottoressa ha evidenziato come le emozioni siano determinanti nell’educazione del fanciullo a partire dai primissimi istanti della sua vita ed ha invitato noi educatori ad «essere specchio e traduttore per i nostri ragazzi e per le loro emozioni».

L’intervento di don Cesare, uno dei più interessanti, ha avuto come fulcro il ruolo delle mani nell’educazione dell’uomo. Quest’arma potentissima, considerata dal filosofo Immanuel Kant come “il cervello esterno dell’uomo” è la protagonista di uno dei verbi maggiormente frequenti nella nostra lingua: il verbo «prendere» da cui derivano «sor-prendere», «com-prendere», «ri-prendere», «intra-prendere», …

«Siamo uomini perché abbiamo fatto sì che una parte del nostro corpo (la mano) si lasciasse educare dalle cose. Esse sono alla base del nostro senso della certezza: noi siamo il risultato di questo primo ‘insegnamento delle cose’; ma allo stesso tempo esse ci resistono: sono ostinate, resistenti, indisponibili, segnano un limite. Abbiamo bisogno di riappropriarci di questa preziosa indisponibilità!». Ha mostrato poi come «si potrebbe fare una storia Cristologica solamente basandosi sulle mani di Gesù. Mani che guariscono, mani che pregano, mani che toccano cose anche un po’ schifose come la pelle di un lebbroso…Il verbo prendere, poi, è il primo verbo della moltiplicazione dei pani e dei pesci ed anche un verbo fondamentale per la Consacrazione».

Nella risposta ad una domanda padre Carlo ha parlato di quanto sia importante, soprattutto nel rapporto educatore-ragazzo, la ricerca di una relazione vera ed ha messo in evidenza il rischio che essa scada in un accomodante “gioco di specchi”. «Lo stesso Gesù ha sempre evitato questo tipo di compiacimento reciproco e quando quel giovane Gli ha domandato: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?” ha risposto: “perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”. E così quel giovane che pure seguiva tutti i comandamenti se ne andò via sconsolato; non era davvero disposto a seguire fino in fondo il Signore Gesù».

Nel pomeriggio invece il programma prevedeva un itinerario artistico per le vie di Roma alla scoperta di alcuni dei capolavori del Caravaggio nei quali ritrovare l’intensità delle emozioni che caratterizzano l’esperienza di fede. Così ammirando il ‘trittico’ di San Matteo (La Vocazione, L’Ispirazione, Il Martirio) in San Luigi dei Francesi e La Madonna dei Pellegrini nella chiesa di Sant’Agostino abbiamo potuto riscoprire nella teatralità dei soggetti caravaggeschi, nel loro estremo realismo un suggestivo ed emozionante richiamo alla sequela del Maestro.

Prima di concludere la giornata con la preghiera nella chiesa di Santa Maria in aracoeli c’è stata anche la possibilità di un giretto per il centro della Capitale. Colosseo, fontana di Trevi, piazza di Spagna: fantastico!

“Non diamo per scontato il nostro essere educatori appassionati!”

Dopo due giornate così intense, la Domenica è arrivato il momento della conclusioni affidate alla responsabile nazionale Acr Teresa Borrelli che, nel tirare le fila degli argomenti affrontati durante il convegno, ha individuato tre termini che caratterizzano il cammino dell’Azione Cattolica dei Ragazzi: globalità, completezza e gradualità. «Non possiamo proporre un Acr slegata dalla vita, racchiusa nella parentesi di un’ora. Ecco il perché della scelta esperienziale: non per far giocare i bambini, ma per far loro capire che il Signore è tra loro in questa vita, non il qualcosa di “altro”.

Dobbiamo fare in modo che quel Gesù di cui parliamo loro, i bambini lo possano raccontare, lo possano dire; che ciò che sentono nel cuore possa naturalmente sfociare in preghiera. Dobbiamo fare in modo che l’Annuncio raggiunga il loro cuore, che trasformi la loro vita!».

Al termine di questi 3 giorni possiamo dire come questa esperienza sia stata significativa sia dal punto di vista formativo, sia dal punto di vista delle relazioni e delle amicizie che abbiamo stretto, ma anche per il clima che abbiamo vissuto dove ci siamo sentiti partecipi della grande famiglia dell’Azione Cattolica; abbiamo così potuto capire condivise le nostre difficoltà e le nostre fatiche, ma soprattutto la nostra passione per i ragazzi e per la loro educazione.

Alla prossima esperienza!

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