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Collaboratori della vostra gioia, attraverso l'arte dell'accompagnamento

Se volessimo trovare una modalità eloquente attraverso la quale raccontare il nostro ministero e il nostro ruolo di assistenti di AC, pensiamo che queste parole di san Paolo che indicano l’orizzonte e il metodo con il quale questo orizzonte viene raggiunto (l’arte dell’accompagnamento), facciano proprio al caso nostro: “Collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1,24).

In questi anni infatti, come assistenti AC della Lombardia, ci stiamo interrogando su questo aspetto specifico del ministero presbiterale.

L’evangelizzazione sembra che oggi si declini non solo con l’annunciare, il comunicare, l’offrire, ma abbia a che fare con qualcosa di più profondo, che coinvolga la persona e le Comunità sia nella sfera intellettuale, ma soprattutto in quella affettivo-relazionale (ne abbiamo avuto conferma anche al Convegno Ecclesiale di Firenze appena celebrato).

Un’evangelizzazione che non sia solo primo annuncio (fondante ed essenziale), ma che diventi processo di educazione all’esperienza di fede: «ti accompagno».

Accompagnare dice vari significati. Papa Francesco spesso utilizza la felice immagine del pastore che si prende cura del suo gregge a volte stando davanti, altre volte stando in mezzo, altre volte stando in fondo, chiudendo la fila.

Il prete (e l’assistente di AC pure) è chiamato anzitutto ad “esserci” (e noi ci stiamo provando, nonostante i nostri numerosi impegni pastorali); il prete è un segno di Gesù pastore che conosce le sue pecore, le chiama per nome, si prende cura di loro fino a donare la vita.

Ma anche questo “esserci” si declina in vari modi: c’è una presenza che si fa stimolo, pungolo, pro-vocazione; c’è una presenza che si fa vicinanza e condivisione: stare, abitare un’associazione, con le sue relazioni, i suoi travagli, le sue gioie e le sue fatiche; amare e imparare a lasciarsi amare. C’è una presenza che a volte chiede di essere discreta, rispettosa, capace di ascolto, di discernimento, di spirito di osservazione, e alcune volte, anche di silenzio. Altre volte invece si è presenti stando dietro per spingere ad andare avanti, non mollando la presa e non perdendo l’andatura.

Accompagnare non è facile. È faticoso: non offre una gratificazione istantanea; ha diversi rischi, soprattutto la paura di sbagliare, di sostituirsi all’altro; di rimettere in discussione scelte e decisioni prese da tempo e sulle quali ti sentivi sicuro; il rischio di perdere una persona che magari hai accompagnato per molto tempo e poi decide di prendere altre strade. Accompagnare nella fede per un prete è l’avventura più impegnativa e più impervia, ma anche la più esaltante. Perché genera. Perché non sei una macchinetta automatica che offre alimenti preconfezionati, magari scaduti o avariati o non più desiderabili, ma doni ciò che sei, ciò che più contraddistingue la tua interiorità: il tuo essere prete, con le tue fragilità, talenti, competenze. E soprattutto doni un ‘Altro’, capace di “saziare la fame di ogni vivente” (cfr Sal 144[145],16).

L’assistente di AC, come ogni sacerdote, è chiamato oggi più che mai ad essere “fecondo”, ovvero a riconoscersi ‘madre e padre’: ‘madre’ perché siamo chiamati a prenderci cura e a nutrire la fede dei figli; ‘padre’ perché siamo chiamati a incoraggiare, a stimolare, proporre, sostenere i cammini e i percorsi di fede, sia personali che comunitari. Padri e madri che imparano anche a lasciarsi amare, educare e ferire dai figli.

L’assistente di AC accompagna con l’annuncio della Parola, il discernimento dei carismi di ciascuno; il dialogo schietto e sincero, il confronto spirituale, la sua testimonianza di vita.

Ai laici, chiediamo di vederci così; di chiederci questo; di pretendere da noi questo: di servirvi nella modalità dell’accompagnamento nella fede, così da far maturare in voi (e in noi, mentre vi accompagniamo) la nostalgia di con-formarvi sempre più all’immagine di Gesù Signore, vivendo nel mondo; animandolo dal di dentro con coraggio, entusiasmo, creatività e passione. Non da “stampelle” del clero, ma da protagonisti e corresponsabili della vita della Chiesa e del mondo, in profonda comunione con i propri pastori. Cristiani che sentono il desiderio di diventare sempre più “adulti” nella fede, spronandoci, (oseremmo dire, infastidendoci) ad offrire ‘cibo solido’ per la loro vita cristiana.

A volte noi sacerdoti ci sentiamo ‘un po’ giù’ perché tanta gente ci chiede tante cose, che tuttavia non sono specifiche del nostro ministero. Al contrario quando i fedeli ci domandano il pane della Parola, oppure un consiglio, un sostengo, un accompagnamento nella fede, siamo contenti, perché ci riconoscono ‘pastori’!

Oggi più che mai occorre riscoprire tutte e due le direzioni: un prete che si senta sempre più pastore del suo popolo con le caratteristiche della maternità e della paternità insieme: che incoraggi, sostenga e nutra la fede dei suoi figli; e dall’altra parte un laicato generoso e lieto che, con gli occhi della fede, guardi ai suoi preti come ad accompagnatori: annunciatori della Parola che salva; comunicatori della Grazia, ‘facilitatori’ nel cammino di fede dei credenti e anche di chi vorrebbe credere, ma non ce la fa; di chi sperimenta un nuovo inizio oppure di chi si affaccia all’esperienza spirituale, magari per la prima volta.

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